Carne in vitro: la nuova frontiera di un business ecosostenibile.

Immaginate un desiderio sfrenato di un ottimo hamburger in piena notte e di non averne uno disponibile nell’immediato da cucinare. E se fosse possibile optare per un pezzo di carne freschissimo a chilometro zero appena prodotto all’interno di un bioreattore miniaturizzato presente in cucina? L’idea non vi alletterebbe? Stiamo parlando della nuova frontiera del food: la carne in vitro.

Si tratta di un prodotto coltivato ottenuto mediante tecniche relative all’ingegneria tissutale, un ramo della medicina che si occupa di rigenerare e riparare i tessuti. Il processo di produzione della carne in vitro inizia con l’estrazione di cellule staminali dai muscoli di animali adulti viventi – un’operazione che teoricamente si potrebbe tentare con qualunque specie ma che per ora è stata sperimentata solo con bovini, maiali, tacchini, polli, anatre e pesci. Le cellule staminali estratte sono depositate in un bioreattore – strumento già impiegato nella produzione di alimenti come birra e yogurt – che ne favorisce la proliferazione in ambiente sterile.

Si tratta di un processo complesso e che in passato comportava dei costi proibitivi. Per portare un esempio il primo hamburger di carne sintetica, prodotto in laboratorio da scienziati della Maastricht University in Olanda e cucinato poi a Londra nel 2013 durante una conferenza stampa, era costato 350.000 dollari. Sottoposto al giudizio di un critico culinario era stato definito meno succoso e meno saporito della carne convenzionale ma con una consistenza quasi naturale, e di passi ne sono stati fatti parecchi dal 2013 ad oggi, soprattutto sui costi di produzione.

A marzo 2022 un’analisi dell’ente no-profit Good Food Institute (GFI), che rappresenta l’industria delle proteine alternative, ha stabilito che superando una serie di ostacoli tecnici ed economici il prezzo di produzione della carne sintetica potrebbe ridursi di 4000 volte in una manciata di anni, passando dai 10.000 dollari (9.200 euro) per poco meno di mezzo chilo attuale a 2,50 dollari (2,30 euro) per la stessa quantità nel 2030.

Ma quali sono i principali vantaggi della produzione di carne in vitro?

La tecnologia di coltivazione in vitro potrebbe offrire modi per controllare la composizione della carne e renderla più salutare. Il contenuto di grasso potrebbe essere fissato ai livelli raccomandati e i grassi insalubri potrebbero essere sostituiti con i più salutari omega-3. Si potrebbero poi includere ingredienti aggiuntivi come le vitamine. Inoltre, la carne impropriamente definita “artificiale” non sarebbe più così dipendente dall’uso di antibiotici, di farmaci e di ormoni perché crescerebbe in condizioni sterili a partire da animali sani e selezionati; inoltre, le colture di cellule avrebbero un impatto minore sul consumo del suolo (circa il 95% in meno), sull’emissione di gas serra (si stima una riduzione di circa 98% rispetto a quella naturale) e di acqua. Infine, la carne coltivata eviterebbe il processo di macellazione e pertanto sarebbe eticamente conciliabile con una dieta vegetariana.

L’introduzione della carne in vitro nella nostra alimentazione sembrerebbe essere un passo necessario nel futuro prossimo per ridurre un consumo di carne che nell’ultimo ventennio è aumentato di oltre il 50% a livello globale; secondo Mark Bittman (giornalista alimentare americano, autore ed ex editorialista del New York Times e membro della Union of Concerned Scientists) ai ritmi attuali non sarà possibile in futuro soddisfare la richiesta di carne di una popolazione mondiale che ha superato gli otto miliardi e continua a crescere.

La società statunitense di analisi Kearney ha stimato che entro il 2040 il 35% della carne mondiale sarà prodotta mediante proliferazione di cellule in bioreattori e il 25% sarà di origine vegetale ossia generata a partire dalle proteine dei legumi (attualmente l’azienda leader mondiale per la produzione di carne vegetale è la statunitense Beyond Meat).

Ad oggi se sommiamo gli impatti ambientali e i costi sanitari insiti nella produzione della carne, 1 kg di carne costa alla collettività circa 5 euro se si tratta di pollo, 10 euro se di maiale, 19 euro se di origine bovina.

La ricerca per la carne colturale è ben avviata ma ancora lontana dal permetterne una produzione stabile e su larga scala, sostiene Uma Valenti, CEO e founder della start up californiana Upside Food. Ma secondo una sua stima entro 10 anni, fruendo anche delle economie di scala, sarà possibile una produzione ad un costo equipollente a quello della carne “da pascolo”.

Permangono tuttavia alcuni dubbi sui possibili risvolti negativi salutari dovuti al consumo intensivo: pur non essendoci studi scientifici che evidenzino rischi tangibili sul benessere dell’organismo di una dieta particolarmente ricca di carne coltivata, saranno sicuramente necessarie indagini e studi approfonditi prima che essa diventi un cibo di utilizzo quotidiano su larga scala.

Chi desideri assaggiarla deve al momento recarsi nei soli due Paesi che al momento autorizzano la vendita di carni coltivate: Israele e Singapore.

In Italia, il 28 marzo 2023, il Consiglio dei Ministri ha approvato un disegno di legge che vieta la vendita, la commercializzazione, la produzione e l’importazione di alimenti artificiali (la definizione di artificiale risulta essere impropria in quanto il prodotto ottenuto è completamente naturale). Questo disegno di legge parrebbe non avere tutto questo potere in quanto qualora l’UE e nello specifico l’Efsa, l’autorità Ue per la sicurezza alimentare (paradossalmente con sede a Parma), dovesse approvare l’uso del prodotto negli Stati membri, per le regole comunitarie della libera circolazione dei beni e dei servizi l’Italia non potrebbe opporsi alla loro distribuzione e pertanto potremo importarla da altri Paesi comunitari; ci ritroveremmo quindi al supermercato carne coltivata prodotta all’estero, esattamente come già succede con la farina per insetti.

Diverse sono le startup che investono nel settore: ne sono un esempio la già citata statunitense Upside Food, l’australiana Wow, l’Israeliana Aleph Farms e la singaporiana East Just. In Europa ci sono diverse realtà ma le più importanti sono l’italiana Brunocell e la francese Gourmey; quest’ultima specializzata solo nella coltivazione di foie gras.

Le aziende appena menzionate sono solo alcuni tra i protagonisti di un business che potrebbe raggiungere cifre impressionanti. Secondo Barclays il giro d’affari della carne sintetica nel 2040 sarà di 450 miliardi di dollari nel mondo, un quinto del mercato globale della carne. Questo anche perché la carne in vitro, come conferma un’analisi di McKinsey, arriverà a costare quanto quella naturale. Insomma, da stravaganza culinaria inaccessibile a possibile soluzione a uno dei grossi problemi di sfruttamento del pianeta.