Dopo un brillante avvio di autunno, i titoli tech hanno subito una brusca correzione intorno a metà novembre, alimentata dal riemergere del dibattito su una possibile “bolla dell’Intelligenza Artificiale”. Il catalizzatore è stato un colpo di scena societario: l’11 novembre il conglomerato giapponese SoftBank ha rivelato di aver venduto l’intera propria quota in Nvidia (32,1 milioni di azioni), incassando circa 5,8 miliardi di dollari. La notizia ha colto di sorpresa il mercato. Nvidia, simbolo della corsa all’AI, che negli ultimi tre anni ha accresciuto il proprio valore di Borsa del +1200%, passando da mid-cap a colosso da 5 “trilioni” di dollari, nonché la prima azienda al mondo per capitalizzazione, ha visto il proprio titolo scendere immediatamente di oltre il 2%, innescando un’ondata di vendite su tutto il comparto.
La mossa di SoftBank – motivata ufficialmente dal bisogno di far cassa per finanziare nuovi ambiziosi progetti nel campo AI (tra cui il maxi-piano “Stargate” per potenziare i data center negli USA e un impegno fino a 40 miliardi di dollari in OpenAI) – è stata interpretata da molti osservatori come un segnale che anche gli investitori più ottimisti vedono un surriscaldamento nelle valutazioni.
I timori di una bolla covavano già da qualche settimana: ceo di banche come Morgan Stanley e Goldman Sachs avevano messo in guardia su possibili correzioni azionarie e celebri speculatori come Michael Burry avevano apertamente scommesso al ribasso su titoli simbolo dell’AI (Nvidia, Palantir). In ogni caso, l’effetto sul mercato è stato un’amplificazione della volatilità, portando a sedute in deciso ribasso per il Nasdaq e gli indici globali attorno al 13-15 novembre.
In Europa e Asia la correzione di Wall Street si è propagata rapidamente. Il 14 novembre le borse mondiali hanno vissuto un’altra giornata di vendite: a Londra il FTSE100 è calato dell’1,1% trascinato dai titoli finanziari, a Francoforte il DAX ha perso quasi lo 0,9%. Ancora più pesanti i ribassi sui mercati asiatici, dove gli indici tech hanno risentito anche di notizie cinesi deludenti, con un crollo record degli investimenti fissi in Cina: -1,7% nei primi 10 mesi dell’anno, segnale di difficoltà strutturali. A Tokyo il Nikkei ha chiuso a -1,8%, il sudcoreano Kospi addirittura -2,6%, mentre a Hong Kong l’Hang Seng è sceso di quasi un punto. Particolarmente colpiti altri grandi nomi dei semiconduttori: Samsung -4% e SK Hynix -6% circa. Il dibattito sulla “bolla dell’IA” è così entrato nel vivo: sulle pagine finanziarie si fronteggiano gli ottimisti, convinti che la rivoluzione tecnologica giustifichi in prospettiva le valutazioni elevate, e i pessimisti, che vedono invece i classici segnali di una mania speculativa (multipli astronomici, eccesso di leva su pochi titoli guida, le prime vendite insider da investitori informati).
In ogni caso, alcune big tech hanno comunque riportato trimestrali solide a fine ottobre: Apple ha registrato vendite record per gli iPhone 17 (trainando la capitalizzazione sopra i 4.000 miliardi di $) e fornito previsioni ottimistiche per il trimestre natalizio, mentre Amazon ha sorpreso il mercato con un’accelerazione dei ricavi nel cloud e nel retail online, facendo balzare il titolo dopo i risultati. In campo retail tradizionale, invece, i segnali sono misti: Walmart ha annunciato a metà novembre un altro trimestre di crescita superiore alle attese (vendite e utili in aumento, spinti dall’e-commerce) e ha rivisto al rialzo le previsioni per l’anno in vista delle festività. Tuttavia, il gigante della distribuzione ha anche osservato prime indicazioni di debolezza nei consumatori a basso reddito, erosi dall’inflazione: una dinamica che suggerisce come la domanda interna USA stia tenendo, ma con alcuni scricchiolii sul segmento “value”. Anche questo elemento ha contribuito a qualche turbolenza di metà mese: i mercati temono che un consumatore in affanno possa preludere a un calo degli utili societari nel 2026.
Il 19 novembre, a mercati USA chiusi, Nvidia ha pubblicato i risultati trimestrali (Q3, agosto-ottobre) strabiliando gli analisti. I numeri hanno mostrato che il boom della domanda di chip per l’Intelligenza Artificiale è tutt’altro che esaurito: i ricavi trimestrali sono balzati del +62% su base annua, toccando un nuovo record (circa 57 miliardi di $), con performance eccezionale della divisione Data Center (oltre 51 miliardi di fatturato, sopra le stime di consenso). Anche l’utile netto è cresciuto di oltre il 60%. Ma ancora più sorprendente è stata la guidance: Nvidia prevede per il trimestre in corso vendite intorno ai 65 miliardi di dollari, ben al di sopra delle aspettative degli analisti (~61,7 mld). Si tratta di cifre impressionanti, dissociandosi così dai primi segnali di rallentamento che si erano intravisti in estate.
Nel commentare i risultati, il fondatore e CEO Jensen Huang ha volutamente affrontato il tema “bolla AI” per tranquillizzare gli investitori: “Si parla molto di una bolla dell’AI. Dal nostro punto di vista, vediamo qualcosa di molto diverso”. Ha poi elencato le ragioni concrete della fiducia: la domanda per i chip Nvidia resta fortissima da parte di tutte le grandi piattaforme cloud, l’ecosistema software dell’azienda è diventato uno standard de facto per gli sviluppatori di intelligenza artificiale in ogni ambito. Huang ha rivelato che Nvidia ha già in mano prenotazioni future per 500 miliardi di dollari di chip da consegnare entro il 2026, a riprova che non si tratta solo di hype ma di investimenti reali in corso. Insomma, secondo il CEO l’AI non è una moda passeggera bensì un cambio di paradigma industriale destinato a sostenere la crescita per anni.
Nvidia è schizzato a +5% (pari a circa +220 miliardi di $ di capitalizzazione in poche ore), preludendo a un forte impulso positivo sui listini globali il giorno seguente. Il 20 novembre si è assistito a un rally di sollievo: gli indici asiatici, i primi ad aprire, hanno guadagnato terreno in modo generalizzato; anche in Europa la seduta è partita in netto rialzo, trascinando poi Wall Street, con il Nasdaq che ha recuperato interamente le perdite della settimana precedente e l’S&P 500 tornato oltre quota 4600. Di fatto, le “bolle” sono tornate “boom”: i timori di pochi giorni prima si sono attenuati, mostrando ancora una volta come il mercato oscilli rapidamente tra euforia e paura.
Tuttavia, alcuni osservatori sottolineano che i risultati eccezionali di Nvidia potrebbero non bastare a fugare del tutto i dubbi di surriscaldamento nel settore. Almeno tre aspetti continuano a richiamare prudenza:
- La concentrazione del business: nel caso di Nvidia, ben il 61% dei ricavi proviene da soli quattro grandi clienti cloud (i colossi americani del web), e in generale l’intero boom AI poggia su investimenti di capitale di poche aziende enormi.
- Segnali di “finanza circolare” nel settore: Nvidia stessa, ad esempio, sta investendo decine di miliardi in società AI emergenti che poi diventano suoi importanti acquirenti di chip, come OpenAI (in cui ha annunciato fino a 100 miliardi di $ di impegni); questo intreccio – grandi aziende che finanziano startup le quali a loro volta alimentano le vendite delle prime – può gonfiare artificialmente i numeri di breve termine, finché c’è liquidità a basso costo disponibile.
- Una corsa all’infrastruttura non sostenibile a questi ritmi con costanza: le cosiddette hyperscaler (Azure, AWS, Google Cloud) stanno spendendo capitali enormi per costruire data center AI, ma potrebbero rallentare se questi impianti non fossero messi a frutto abbastanza rapidamente (vincoli fisici di capacità elettrica, di competenze e di domanda finale).
Guardando all’insieme degli eventi, si può dire che i mercati finanziari hanno mostrato una notevole capacità di adattamento: a periodi di tensione e volatilità iniziale è seguito un progressivo ritorno della calma grazie alla risoluzione – anche se temporanea – di alcuni nodi e alla conferma di fondamentali solidi in settori chiave; l’inflazione in raffreddamento e l’atteggiamento più accomodante delle banche centrali hanno contribuito a creare una cornice favorevole.
Permangono tuttavia elementi di incertezza che invitano alla prudenza: il dibattito sulla possibilità di una brusca correzione nel tech rimane aperto e potrebbe riesplodere a fronte di qualunque segnale di frenata negli utili o di eccessi speculativi; a inizio 2026 si riproporranno snodi politici e fiscali non risolti – shutdown USA solo rinviato, decisioni di bilancio in Europa (con l’Italia osservata speciale sui conti pubblici), oltre ai rischi geopolitici latenti (la tregua in Medio Oriente è fragile e la guerra in Ucraina prosegue senza una soluzione chiara); sul piano macro, l’economia cinese mostra segnali di debolezza strutturale che potrebbero riflettersi sul commercio globale, mentre in Occidente c’è da verificare la tenuta della domanda interna una volta esaurite le robuste riserve di liquidità accumulate dalle famiglie nel post-pandemia.
Per gli investitori, il mese di novembre 2025 ha rappresentato un utile promemoria dell’importanza di restare vigili e flessibili: in un contesto così dinamico, le notizie macro o societarie possono rapidamente cambiare il quadro. Mantenere portafogli ben diversificati e una visione di lungo termine, senza farsi travolgere dall’emotività di breve periodo, si conferma fondamentale per orientarsi nei mercati odierni dominati da rapidi mutamenti di scenario. Novembre ha dimostrato che, pur tra alti e bassi, le opportunità continuano a presentarsi per chi sa adattarsi e approcciarsi con resilienza ai nuovi paradigmi di mercato.







